La modesta struttura dell’attuale chiesetta della Santissima Trinità non suggerisce la magnificenza di come dovevano essere la chiesa e il monastero nel loro pieno fulgore nei primi decenni del Duecento, quando cardinali e legati apostolici vi si recavano per messe solenni.
L’attuale oratorio è stato ricavato dalla navata minore meridionale della ben più ampia chiesa duecentesca a tre navate, che si sviluppava a Nord con una navata maggiore, larga il doppio e più lunga di quella oggi esistente, ed un’altra minore uguale a quella Sud. La demolizione di queste navate avvenne alla metà del Settecento, dopo che era stato abbattuto il monastero.
La famiglia Sabbatini di Modena, che aveva in affitto la proprietà, lasciò che la chiesa e il monastero andassero in rovina, senza fare alcuna opera di restauro, abbatté gli edifici duecenteschi e si servì del materiale riutilizzabile per la villa di campagna costruita a Sud dell’edificio sacro lasciato in piedi.
La chiesa presenta alcuni elementi propri dello stile romanico, come gli archi a tutto sesto delle campate; altri elementi, invece, sono tipici del gotico, come le volte del soffitto, che si presentano a crociera a sesto acuto, con costoloni che ne sottolineano la verticalità.
La parete settentrionale dell’oratorio mostra ben visibili le strutture antiche romaniche, composte da arcate a tutto sesto, che sono state tamponate da pareti non ben saldate alle vecchie murature; gli archi poggiano su pilastri polistili alternati. Esternamente, a Nord, si trova un motivo decorativo in mattoni molto complesso e ricercato, che sembra suggerire l’esistenza di un’antica porta poi tamponata. Nei pressi si trova una nicchia ampia su cui sono visibili tracce di un dipinto su intonaco che tuttavia è andato completamente distrutto.
All’interno, volte a crociera a sesto acuto di stile gotico scaricano su pilasti il peso del soffitto per mezzo di costoloni. Alle sommità dei pilastri sono visibili tracce di capitelli in arenaria con figure in bassorilievo che sono stati quasi completamente scalpellati a distrutti; sono stati rinvenuti negli anni Settanta del Novecento, sotto capitelli neoclassici settecenteschi.
Uno di questi è ancora leggibile e presenta un’aquila, simbolo dell’intelligenza, della forza e della giustizia divina, che combatte con un leone rampante, simbolo della superbia e della violenza.
L’ancona di stucco dell’altare del crocifisso, sormontato dallo stemma del cardinale Francesco Barberini, abate commendatario tra il 1695 e il 1739, è del Settecento.
In una mappa della pianura reggiana del Quattrocento, il monastero di Campagnola è raffigurato dal disegno della chiesa, con dimensioni di due o tre volte maggiori rispetto a quelle delle altre chiese. Ciò sta ad indicare l’importanza notevole del monastero che per di più è l’unico edificio rappresentante Campagnola. Nel disegno svetta un campanile che sembra a pianta ottagonale con tetto a guglia, in stile gotico-lombardo.
Anche l’antico campanile ha subito la sorte del monastero ed è stato demolito nel 1825; al suo posto è stato eretto un campaniletto a vela a due luci, oggi senza campane.
Storia
Agli inizi del Duecento, nel periodo di prosperità del Castellazzo, sorse in una zona a Sud-Ovest dell’attuale territorio comunale un monastero di monaci agostiniani, la cui chiesa era dedicata alla Santissima Trinità.
Le notizie sulla sua fondazione però sono scarse e confuse: la prima messa sembra essere stata celebrata dal Cardinale Ugolino nel 1218.
La più antica citazione del monastero di Campagnola è del 1221: in un documento dell’Abbazia di Marola si trovano gli estremi di un contratto fatto nella chiesa della Santa Trinità a cui è presente il priore di Campagnola, Egidio.
Nei primi documenti il monastero di Campagnola non ebbe mai il titolo di «abbazia», poi divenuto comunemente «badia», ma assunse diversi nomi: Casa della religione di Campagnola (dove con casa di religione si intende Priorato) nel 1225; monastero e convento rispettivamente nel 1227 e nel 1232. Soltanto nel 1238, dopo l’unione all’Abbazia benedettina di Marola, assunse il titolo di Abbazia.
Questi i motivi principali della nascita di un monastero agostiniano a Campagnola:
- Il territorio, essendo lontano dai centri cittadini, permetteva una vita contemplativa adeguata. Tuttavia era raggiungibile abbastanza agevolmente, poiché era attraversato da una strada importante, che metteva in comunicazione Reggio con il Po;
- Il terreno su cui sorse il monastero era argilloso e un tempo sicuramente paludoso. La presenza dei monaci potrebbe spiegarsi anche per l’esigenza di bonificare e dissodare un terreno vergine e all’epoca inutilizzabile;
- La necessità di preservare gli abitanti della zona dalle eresie che in quei tempi si andavano diffondendo;
- La motivazione più importante e plausibile, però, sembra essere stata il fatto che un nobile di Campagnola, desideroso di guadagnarsi la salvezza dell’anima, abbia donato dei beni per la costruzione del monastero, facendosi frate o monaco e rinunciando alla vita di laico.
La rilevanza del monastero agostiniano di Campagnola, nel panorama della Chiesa italiana, è ribadita dalla protezione straordinaria di un alto prelato: il cardinale Ugolino, poi divenuto papa con il nome di Gregorio IX, che ne fu benefattore, sostenitore, promotore e fondatore giuridico.
I primi anni di vita del monastero furono caratterizzati da una stretta osservanza della regola agostiniana. Le proprietà nei primi vent’anni (1218-1238) ammontavano a terreni posti a Campagnola, Cognento e Cortenova di Novellara. La comunità dei monaci crebbe proporzionalmente negli anni fino al 1230, quando il monastero contava ben 27 monaci.
Gli agostiniani svolgevano, oltre alla vita contemplativa, anche il lavoro legato alla gestione dei numerosi terreni e della vendita dei libri riprodotti nella biblioteca.
Il monastero era una comunità autosufficiente. Ai religiosi si affiancavano dei laici, che di solito risiedevano al di fuori del complesso monastico.
Ogni monastero aveva un luogo di preghiera, cioè una chiesa, gli alloggi dei religiosi con le varie celle, il refettorio, la cucina e spesso una biblioteca, generalmente affiancata da uno scriptorium, dove venivano copiati i codici; doveva esserci anche il cefalactorium, un ambiente riscaldato da un grande camino, luogo di ritrovo durante l’inverno. Inoltre erano annessi al monastero la foresteria, la cantina, il magazzino, le stalle, il mulino e piccoli laboratori artigiani.
Oggi, di questo amplio agglomerato non resta altro che una parte assai ridotta della chiesa.
La buona organizzazione interna e la moralità degli agostiniani campagnolesi furono tutti elementi che suggerirono al Papa che il monastero di Campagnola potesse riformare, risanare e assorbire organismi monastici in decadenza: nel 1237 Gregorio IX ordinò dunque al vescovo di Reggio di procedere all’unione del monastero con quello benedettino di Marola. Entrambi avrebbero avuto come unico superiore l’abate di Marola, mentre a Campagnola ci sarebbe stato solo un priore dipendente. L’8 agosto 1238 venne letto come nuovo ed unico abate quell’Egidio, priore a Campagnola. Nell’unione tra Marola e Campagnola venne coinvolto anche il monastero di Colombaro, soggetto a Marola.
Dopo uno scandalo che aveva coinvolto sia i monaci di Marola che quelli di Colombaro, nel 1242 i monasteri tornarono ad essere separati come prima. La situazione rimase invariata fino al 1258, quando alcuni documenti dichiarano che l’unione trai monasteri era comunque avvenuta.
Con la pace e la nuova unione, tornò anche la prosperità. Tutto questo, però, solo fino al 1290 circa, quando l’abate Gherardo venne scomunicato. Sintomo di crisi fu anche la mancanza di un abate tra il 1297 e il 1303.
La vera e propria fine giunse intorno al 1380 quando i signori da Correggio presero di mira sia la villa di Campagnola che il monastero stesso, impossessandosene con la forza.
Dopo la distruzione del Castellazzo e la prese dell’abbazia, la vita a Campagnola fu gravemente compromessa. Il degrado, l’incuria e le guerriglie di confine portarono alla graduale e progressiva crisi dello stesso monastero: nel 1446 i monaci all’interno del complesso erano soltanto quattro.
Il monastero andò quindi spegnandosi, fino al 1468, quando apparve il primo abate commendatario, Gurone Maria d’Este, mentre l’ultimo monaco, Pietro Baracchi, ne era l’amministratore.
- Insinna Luigi, Campagnola Emilia e Cognento attraverso i secoli, [Campagnola Emilia], Circolo Culturale il Borgo, 2013, 454 pp.